Acque reflue, i dubbi più frequenti: lavanderie, autolavaggi e piscine

Quello degli scarichi provenienti da lavanderie, autolavaggi e piscine, è un tema molto complesso. Sono tutti reflui industriali o ci sono distinzioni? La norma statale è l’unica imperante, o vigono leggi regionali specifiche? Le risposte a questi e ad altri dubbi possono interessare chi fa impresa nel settore.
macchina in autolavaggio

Lavanderie, autolavaggi e piscine, se da un lato rappresentano servizi vantaggiosi per l’utenza, dall’altro delineano un perimetro di impresa all’interno del quale chi fa business deve muoversi solcando i sentieri delineati dalla normativa anti-inquinamento. Diverse per le finalità che mirano a soddisfare, queste tre attività sono accomunate dal produrre reflui che, se non smaltiti correttamente, potrebbero arrecare seri danni all’ambiente.

Cosa hanno in comune i reflui di lavanderie, piscine e autolavaggi

Tanto le lavanderie, quanto gli autolavaggi e le piscine, generano acque reflue a carattere industriale. In tale categoria il Testo Unico sull’Ambiente (d.lgs. n.152/06) fa rientrare:

Qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diversi dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento”. Nonostante il portato normativo sia perentorio nel definire esplicitamente quali sono gli scarichi annoverabili tra i reflui industriali, numerose sono state le dispute sorte con riguardo alla precisa collocazione delle acque reflue provenienti dalle piscine. Con riferimento ad esse, l’indirizzo ampiamente diffuso vede prevalere una disciplina spesso determinata a livello regionale, con differenziazioni anche nette tra un ente e l’altro.

Testo Unico sull’Ambiente

Quali sono le sostanze inquinanti

Al di là di ogni differenziazione e di ogni specifica normativa regionale, il dato univoco, quello che costituisce l’archetipo delle varie legislazioni locali, si sostanzia nel fatto che le acque reflue delle piscine, in quanto contenenti cloro, sono considerate fortemente inquinanti, per cui necessitano di un idoneo trattamento pre-scarico. Questo processo di trattamento deve mirare a ridurre la portata inquinante di tali acque che, a norma di legge, possono essere rilasciate nell’ambiente soltanto nell’ipotesi in cui presentino una quantità di cloro attivo libero entro i 0,2 mg/l per scarichi in acque di superficie e di 0,3 per quelli in fognatura.

Tabella 3, Allegato 5 del Testo Unico sull’Ambiente

Il processo di trattamento pre-scarico costituisce un momento indefettibile per rendere legalmente scaricabili anche le acque reflue provenienti dalle lavanderie e dagli autolavaggi. Seppur prive di cloro, in queste acque sono presenti diverse sostanze inquinanti che, con riferimento alle lavanderie, sono rappresentate da:

  • Tensioattivi presenti nelle sostanze detergenti;
  • Sostanze organiche di varia natura.

Analizzando invece gli elementi inquinanti che compongono le acque reflue degli autolavaggi è possibile individuare:

  • Oli minerali;
  • Tensioattivi presenti nei prodotti detergenti.

La normativa della Regione Campania

Si è detto della frammentarietà di opinioni sulla tipologia delle acque reflue delle piscine. Si è altresì menzionata l’esistenza di una fitta rete di normative regionali, spesso diverse tra loro, che danno netta collocazione agli scarichi provenienti da questi impianti. Per quanto riguarda la Regione Campania, a determinare la precisa tipologia dei reflui delle piscine è il Regolamento n.6/13, pubblicato nel B.U.R.C. n.52 del 30 settembre 2013. In questo atto, le acque delle piscine vengono individuate come reflui industriali assimilabili a quelli domestici, salvo che si tratti di “acque di contro lavaggio dei filtri, non preventivamente trattate”; in tale, i reflui vanno invece annoverati tra quelli meramente industriali. Un’ulteriore distinzione è poi destinata a differenziare i reflui delle lavanderie che, secondo quanto riportato nel Regolamento in esame, risultano assimilabili a quelli domestici quando sia previsto “l’impiego di lavatrici ad acqua analoghe a quelle di uso domestico e che effettivamente trattino non più di 100 kg di biancheria al giorno”.

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