La valutazione del rischio da microclima, una tutela per la salute dei lavoratori

Anche il microclima trova spazio nel Documento di Valutazione dei rischi. E non potrebbe essere altrimenti, data la sua potenziale pericolosità. Per i titolari d’azienda, l’attenzione a ogni dettaglio della vita aziendale è prassi quotidiana. A meritare scrupolosità non sono però soltanto le varie fasi dei processi produttivi, ma anche ulteriori fattispecie che – in maniera più o meno diretta – possono incidere sull’economicità dell’impresa.
Tra queste, uno zelo particolare è riservato alla tutela della salute dei lavoratori. Preservare il benessere di chi svolge mansioni indispensabili all’azienda non è soltanto un doveroso imperativo morale, ma anche un obbligo sancito dalla legge. Più precisamente, è il Testo Unico sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (d.lgs. n.81/08) a stabilire la necessità di individuare – e conseguentemente valutare – ogni rischio capace di compromettere la tenuta psicofisica dei dipendenti.

Cos’è il microclima?

Evidenziare e stimare i pericoli sono attività che, nel loro insieme, rappresentano un compito estremamente delicato, perché numerosi e di vario genere sono i rischi di cui tener conto. Del vasto novero fa parte anche la minaccia derivante da un microclima insalubre, la cui gravità non va affatto sottovalutata. Il microclima – inteso come l’insieme delle condizioni climatiche in cui si svolge l’attività d’impresa – può infatti impattare in maniera più o meno deleteria sul benessere dei lavoratori. Nei casi di minor gravità, esso genera una mancanza di comfort che incide sul fisico e sulla mente, pregiudicando – conseguentemente –   la prestazione lavorativa. In quelli più gravi, può contribuire allo sviluppo di patologie di entità tale da sostanziarsi in seri pregiudizi alla salute.

Il microclima nel Testo Unico

Basta questo a far capire quanto possa essere dannoso il microclima e quanto sia dunque fondamentale valutarne il pericolo. Un pericolo che il legislatore ha deciso di annoverare tra quelli di origine fisica, rimandando pertanto alla relativa disciplina. Disciplina che, prima di essere analizzata, deve però essere messa momentaneamente da parte per lasciare brevemente spazio alla definizione di “rischio fisico”. Come tale, viene inteso quello cagionato da ogni fattore governato dalle leggi della fisica, capace di provocare un’alterazione delle condizioni ambientali in cui esso si manifesta. Esempi ne sono il rischio da vibrazioni meccaniche, rumore, campi elettromagnetici e altri tra cui, per l’appunto, il microclima.

Temperatura e umidità, due parametri fondamentali

La definizione poc’anzi offerta, per quanto scarna, è ciononostante utile per capire meglio la disciplina che il Testo Unico detta in tema di valutazione del rischio fisico (quindi anche microclimatico).

Al pari di ogni altra minaccia alla salute, anche questa merita di essere annoverata nel documento di valutazione rischi, in cui deve essere fatta menzione delle misure poste in essere al fine di contenere il rischio. Inoltre, si richiede che la valutazione del microclima venga effettuata tenendo conto di due parametri specifici, primo dei quali è la temperatura. A riguardo, il T.U. specifica che:

  1. La temperatura deve essere adeguata all’organismo umano, tenuto conto delle mansioni lavorative, degli orari di lavoro e degli sforzi fisici richiesti al singolo lavoratore;
  2. Nei locali destinati al personale di sorveglianza, al servizio mensa, al pronto soccorso, al riposo e ai servizi igienici, va commisurata alla loro destinazione;
  3. Qualora non convenga modificare la temperatura dell’intero ambiente, si dovrà provvedere a tutelare i lavoratori tramite misure tecniche specifiche o fornendo loro gli adeguati mezzi di protezione;
  4. Nella valutazione della temperatura, va tenuto altresì conto del grado di umidità e del movimento dell’aria concomitanti.

In aggiunta a ciò, si stabilisce poi che le finestre, i lucernari e le pareti vetrate debbano essere strutturate in modo tale da evitare un eccessivo soleggiamento dell’ambiente indoor, tenuto conto della tipologia e delle condizioni di lavoro svolte al suo interno.

Il secondo parametro cui far riferimento nella valutazione del rischio da microclima è l’umidità. A tal proposito, il legislatore afferma che, qualora il processo produttivo porti l’aria a inumidirsi, è necessario concretizzare tutte le misure idonee a evitare – compatibilmente con le mansioni svolte – la formazione di nebbia all’interno dei locali.

Non tutti gli ambienti sono uguali

Una corretta valutazione del rischio in esame non può poi prescindere dalla distinzione tra ambiente moderato e severo. Il primo è quello in cui gli scambi termici tra lavoratori e ambiente sono prossimi all’equilibrio, pertanto in grado di regalare una condizione di comfort agli individui. Negli ambienti severi, al contrario, si verifica una condizione di squilibrio termico, in quanto tale capace di incidere sul benessere psicofisico dei lavoratori. Questa distinzione attiene però alle condizioni preesistenti in un ambiente, non anche a quelle che è possibile raggiungere mettendo in atto le operazioni più opportune. Dunque, si rende doverosa un’ulteriore differenziazione che distingua tra ambienti confortevoli e non.

Al fine di rendere più realistica la valutazione del rischio, si potranno pertanto individuare:

  • Ambienti termicamente moderabili: in cui il comfort climatico può essere facilmente raggiungibile, non sussistendo ostacoli alla sua realizzazione;
  • Ambienti termicamente vincolati: ove il benessere climatico non può essere conseguito a causa delle condizioni ambientali, dell’attività metabolica, e del vestiario.

Risulta di facile intuizione che, fra i due, è il secondo gruppo quello su cui maggiormente si concentra l’indagine volta alla valutazione del rischio, perché è in locali simili che la tutela dei lavoratori viene messa maggiormente a repentaglio.

Contenuto del DVR

Individuato il contesto più critico, il documento di valutazione del rischio può dirsi completato? No di certo. Occorre infatti stilare tutte le misure necessarie al fine di ridurre la minaccia alla salute dei lavoratori. Innanzitutto, vanno individuate le categorie di dipendenti maggiormente esposti al rischio (per esempio: donne in gravidanza, soggetti ipertesi, cardiopatici, affetti da diabete o da insufficienza renale). Questi, come i loro rappresentanti sindacali, devono essere informati e formati al fine di gestire in maniera consapevole la minaccia. A ciò, si aggiunge la necessità di effettuare una corretta sorveglianza sanitaria a carattere periodico, nonché l’obbligo di dotare i dipendenti coinvolti dei più congrui dispositivi di protezione individuale.

Aggiornamento e sanzioni

Come ogni altro pericolo, anche quello da microclima non va sottovalutato. Ed è questo il motivo per cui il legislatore ha previsto che il DVR vada aggiornato periodicamente. Nello specifico, occorrerà operare una nuova valutazione ogni qualvolta vi siano mutamenti nei processi produttivi o nell’organizzazione del lavoro. Se eventi simili non si realizzano, è ciononostante richiesto un aggiornamento su base quantomeno quadriennale.

Infine, appare opportuno menzionare il regime sanzionatorio applicabile in caso di omessa valutazione del rischio. Nello specifico, è prevista l’ammenda pecuniaria (da un minimo di € 3071,27 a un massimo di € 7862, 44) nonché la pena detentiva, da un minimo di tre a un massimo di sei mesi.

Una severità che induce a comportamenti virtuosi, com’è giusto che sia quando in ballo ci sono vite umane.

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