Acqua potabile, ecco il contenuto della nuova normativa

Potabilità dell’acqua, tutela dell’utenza e lotta agli sprechi. Sono questi i cardini della normativa di recente attuazione.

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Una nuovo intervento legislativo va ad arricchire la normativa sull’acqua potabile. Si tratta del d.lgs. n. 18/23, forse non ancora noto a tutti ma di certo molto interessante per le novità introdotte. Come si vedrà a breve, il decreto non contiene però soltanto elementi innovativi. Esso infatti si pone anche come ponte tra passato e futuro, confermando alcune dichiarazioni di principio e fornendo strumenti aggiornati per garantirne il rispetto e l’attuazione. Il tutto, in un contesto di più ampio respiro, in cui il tema della qualità dell’acqua si intreccia a quello della riduzione degli sprechi.

Conferme e novità

Si diceva che la nuova normativa conferma alcune dichiarazioni di principio. Ma quali, per l’esattezza? Innanzitutto, quella secondo cui l’accesso all’acqua potabile deve essere un diritto universalmente riconosciuto a ogni singolo individuo. Accanto a quest’affermazione, viene ribadita – come già negli interventi legislativi precedenti – la volontà di assicurare che tutta l’Unione Europea possa disporre di acqua qualitativamente eccellente. Due concetti che trovano spazio nell’art. 7, in cui si stabilisce la centralità dei controlli come strumenti per assicurare la bontà e l’accessibilità dell’acqua. Controlli che, nello specifico, si concretizzano in tutte quelle misure idonee a tamponare i rischi di qualsivoglia natura, attuando prontamente gli interventi più opportuni a preservare gli standard di qualità e di accesso a questa risorsa naturale così preziosa.

Controlli rafforzati

Dunque, l’onda innovativa travolge anche i check up, specificamente suddivisi in due tipi. Esaminando il contenuto del decreto, si possono infatti notare due forme di controllo: una esterna, l’altra interna. I monitoraggi esterni rientrano tra le responsabilità del gestore, che li effettua mediante analisi in laboratori propri o di enti accreditati. Quelli interni sono invece affidati alle aziende sanitarie territorialmente competenti, in coordinamento con le Regioni o le Province Autonome.

A differire è anche la frequenza delle analisi. Per i controlli interni, il numero minimo di campioni annui è stabilito dallo stesso decreto (Tabella 1, allegato II); per quelli esterni, la frequenza e i punti di prelievo sono invece concordati con l’azienda sanitaria di riferimento.

Importanza della comunicazione

Interessante è anche il contenuto dell’art.18, ove trova spazio un nuovo concetto di comunicazione, più trasparente e diretto. Nello specifico, è sancito l’obbligo di fornire all’utenza (mediante strumenti telematici o tramite apposita voce in bolletta) tutte le “informazioni adeguate e aggiornate sulla produzione, gestione e qualità dell’acqua potabile erogata”. Per facilitare questo compito, il decreto istituisce due nuovi istituti, il CeNSiA e l’AnTeA. Al primo (Centro Nazionale per la Sicurezza delle Acque), è riconosciuta la funzione di supporto tecnico scientifico in tema di gestione dei rischi, coordinamento, gestione e accesso ai dati, e di approvazione dei piani di sicurezza delle acque. AnTeA (Anagrafe Territoriale dinamica delle Acque potabili) costituisce invece una sorta di sistema informatico centralizzato, coordinato sia con l’Unione Europea che con le aziende sanitarie e ambientali locali.

Altre novità

Oltre ad affermare la centralità della comunicazione come mezzo per aumentare la consapevolezza degli utenti, la normativa presenta altre novità di rilievo. Innanzitutto, viene istituito il Piano di sicurezza dell’acqua, finalizzato a migliorare il monitoraggio dei possibili rischi di contaminazione, attraverso l’ottimizzazione di tre fasi specifiche:

  1. Valutazione e gestione del rischio;
  2. Comunicazione;
  3. Azione.

Vengono poi stabiliti limiti più severi per alcuni contaminanti ed è arricchito l’elenco delle sostanze chimiche potenzialmente dannose per la salute e perciò meritevoli di analisi specifica. Inoltre, il decreto stabilisce, a carico dei gestori di almeno 10 mila mc di acqua al giorno o di un bacino d’utenza di almeno 50 mila persone, di attuare controlli periodici sulla rete idrica, intervenendo prontamente per evitare eventuali sprechi.

Cosa cambia rispetto al passato?

Come detto in apertura, il decreto attualmente vigente offre continuità ai principi già sanciti dalla normativa precedente, ma non solo. Molti sono infatti i criteri sostanziali non solo confermati ma anche ricalcati. Se, precedentemente, si rinvenivano obblighi generali da osservare per garantire la potabilità dell’acqua, con questo nuovo intervento il legislatore ha voluto aumentare l’attenzione sulla problematica, rendendo più ricco l’elenco di sostanze da analizzare al fine di stabilire se l’acqua è o meno adatta all’utilizzo umano.

Infine, non può passare sotto traccia l’interesse posto al tema delle perdite lungo la rete idrica. E non potrebbe essere altrimenti, in effetti. Godere di un’acqua potabile, idonea sia per scopi alimentari che sanitari, non deve né può eclissare la lotta agli sprechi.

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