End of waste, le nuove norme sui rifiuti inerti

Alcuni inerti non sono più considerati rifiuti. Lo stabilisce un decreto ministeriale, finalizzato a dare nuovo impulso alla possibilità di riciclare.

Ben vengano tutti i provvedimenti capaci di incidere positivamente sulla tutela dell’ambiente. È questa finalità a far sì che essi siano generalmente accolti con entusiasmo, scemato il quale bisogna però verificare l’efficacia di ogni singolo intervento. Perché va bene l’eccitazione del momento, ma per far fruttare la speranza è necessario che essa sia supportata dalla concretezza. Per verificarne l’esistenza, è pertanto opportuno operare una doverosa analisi di ogni singolo provvedimento. Analisi a cui non può sottrarsi neppure un recente intervento normativo, emanato dal Ministero della Transizione Ecologica e volto a incidere su un tema specifico della salvaguardia ambientale: la possibilità di accrescere il ciclo virtuoso dei rifiuti. 

Si allarga la possibilità di riciclare

Nello specifico, si tratta del decreto n. 152 del 27 settembre 2022, denominato “End of Waste” (letteralmente, fine degli sprechi). Tale provvedimento – entrato in vigore lo scorso 4 novembre – stabilisce che i materiali inerti di origine minerale o derivanti da attività di demolizione e costruzione, sottoposti a recupero, non siano più qualificati come rifiuti. Un’intenzione che, ancor prima della verifica del contenuto testuale, consente di comprendere che l’atto in oggetto mira al raggiungimento di una duplice finalità: favorire lo sviluppo del ciclo dei rifiuti anche all’interno del settore edilizio e agevolare il conseguimento degli obiettivi strategici individuati dal PNRR. 

Procedure da seguire

Ma come raggiungere simili obiettivi? La risposta è nel decreto stesso, il quale fissa alcuni criteri guida la cui osservanza è imprescindibile per la realizzazione dell’End of Waste. Innanzitutto, è stabilito che il gestore dell’impianto (in qualità di soggetto responsabile del trattamento dei materiali di scarto), rispetti le seguenti procedure:

  1. Verifica documentale e visiva dei rifiuti che giungono presso l’impianto;
  2. Separazione del materiale recuperabile e trattabile da quello non conforme;
  3. Formazione e aggiornamento biennale del personale addetto alla movimentazione dei materiali destinati a divenire aggregato recuperato;
  4. Garanzia di tracciabilità dei singoli lotti di scarti riciclabili;
  5. Rispetto dei requisiti qualitativi dell’aggregato recuperato.

Soltanto attraverso la fedele osservanza di tali criteri, gli scarti inerti potranno cessare di essere considerati rifiuti ed essere qualificati come aggregato recuperato.

Obblighi a carico degli imprenditori

Il decreto, però, non si limita a questo. Oltre a pretendere l’adempimento delle suindicate procedure, l’atto ministeriale impone ai gestori degli impianti di ottemperare ad alcuni obblighi precisi. Nello specifico si chiede:

  • La corretta attribuzione dei codici ai singoli rifiuti;
  • L’individuazione puntuale del grado di pericolosità degli stessi;
  • La compilazione del formulario di identificazione dei rifiuti (FIR), documento indispensabile per garantire la tracciabilità del materiale durante le varie fasi di trasporto e detenzione;
  • La conservazione, presso la sede dell’impresa, di un campione di aggregato recuperato.

Unitamente a ciò, l’imprenditore è tenuto al rilascio di una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà attestante il rispetto delle procedure intraprese per la trasformazione dei rifiuti in aggregato recuperato. Tale documento (di cui il gestore conserverà una copia) dovrà poi essere inoltrato sia all’autorità competente che all’ARPA territorialmente responsabile.   

Come utilizzare il materiale?

Effettuato il trattamento, quelli che una volta erano scarti sono pronti per essere immessi nel circolo virtuoso del riciclo. Anche in questo caso, però, è doveroso seguire le indicazioni previste dal decreto, che determina in maniera specifica gli scopi per cui l’aggregato recuperato potrà essere utilizzato. Nel dettaglio, il Ministero stabilisce che esso potrà essere adoperato per la realizzazione di:

  • Sottofondi stradali, ferroviari, aeroportuali, nonché di piazzali civili e industriali;
  • Strati di fondazione delle infrastrutture di trasporto e di piazzali civili e industriali;
  • Recuperi ambientali, riempimenti e colmate;
  • Strati accessori aventi, a titolo esemplificativo, funzione drenante, anticapillare, antigelo.

Si stabilisce altresì che l’aggregato potrà essere destinato alla realizzazione del corpo di rilevati di opere in terra dell’ingegneria civile e al confezionamento di calcestruzzi e di miscele legate con leganti idraulici (come i misti cementati e le miscele betonabili).

Periodo di transizione

Pur essendo ufficialmente entrato in vigore lo scorso 4 novembre, il decreto non è tuttavia ancora pienamente effettivo. Ciò in quanto è stato determinato un periodo di transitorietà – della durata di 180 giorni – ritenuto congruo per permettere agli imprenditori del settore di adattarsi alle novità previste dal Ministero. Nello specifico, essi hanno tempo fino al 3 maggio 2023 per presentare all’autorità competente una nuova domanda di autorizzazione al trattamento dei rifiuti o di autorizzazione integrata ambientale (AIA), indicando altresì la quantità massima di scarti recuperabili.

Quello dei rifiuti è un circolo virtuoso, come tale richiede comportamenti responsabili da parte di chiunque voglia essere protagonista attivo della tutela ambientale.

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